author
Francesco Bernardelli
art and cinema scholar
contibution
Attorno al “muro”, ai molti muri che ci circondano , 2011
files about two movies: DUVAR (the wall) by Yilmaz Güney – To take a Wife by Shlomi and Ronit Elkabetz
received 21.03.11 – 18.10.11
To Take a Wife – Elkabetz
About Elkabetz -To take a Wife Director
About Güney – DUVAR Director
interview with Güney – DUVAR Director
notes
Siamo così frequentemente abituati a pensare che anche soltanto un piccolo contributo, un apporto laterale a un progetto, una parte di attività (quella che sia..) debba avere la presenza e definizione di un lavoro – qualcosa di definito, compiuto – pur in una larga casistica di opzioni, possibilità e risultati – forse traccia e segnale di un’avvenuta metamorfosi che ha indotto la quasi totalità degli ambiti lavorativi ad adottare un’ottica tendenzialmente iper-produttiva (quando non produttivista) – che diventa invece rara occasione trovarsi a pensare il contrario. E certamente, sempre più abbiamo la sensazione d’essere circondati, come il più delle volte ci troviamo effettivamente ad essere, da situazioni che si basano su un sistema di valore e scambio d’uso, immediato, semplificato e appiattente.. così che sembri giocoforza diventato necessario adottare un approccio di quell’unico tipo. Ciò nondimeno, forse proprio perchè una simile disposizione (o auto-condizionamento) prova a farsi sempre più strada, in molte e impercettibili maniere, vorrei tentare invece a far luce su ragionamento inverso.
Non si tratta, beninteso, solamente di un semplice atteggiamento, ma di un deliberato tentativo nel voler richiamare l’attenzione su quando una riflessione, un pensiero si viene a formare e a prendere molte, continue e diverse forme, in una sorta di flusso trasformativo (che è poi il flusso stesso della vita di ogni giorno) dove per quanto ci si sforzi di programmare, prevedere e calcolare tutto, immense restano le possibilità di strette, chiuse e impedimenti improvvisi, mutamenti d’orizzonte, svolte inopinate. Forse si potrebbe richiamare (perfino un po’ provocatoriamente) in causa la categoria dell’improduttivo o dello spreco, ma senza voler caricare le parole di risonanze inutilmente polemiche che, pur essendo ancora più cariche, hanno il merito di portarci verso altre direzioni (e considerazioni). Nella dissipazione (o sperperio) non è però difficile trovare almeno un aspetto per certi versi positivo – il venir meno di un’esigenza di controllo/saturazione delle possibilità di lettura (e indi interpretative).
Dunque, richiamandosi a un termine duro e ostico quale “muro”, non possono che determinarsi molti conseguenti pensieri e concetti che fanno dell’idea, quando non dell’esperienza (di tali, simili inamovibili realtà), impenetrabile, implacabile, (impensabile perfino) evidente manifestazione. Eppure è proprio così presente e occupante tanta parte di questo mondo reale, materiale, che incontriamo non appena alziamo lo sguardo. L’esperienza (ed il pensiero stesso) del muro è davvero parte (e larghissima parte) della nostra esistenza.
Si può tentare di aggirarla, di circoscriverla, ma il più delle volte resta un limite, una soglia invalicabile, una barriera difficilmente intaccabile. Il muro non solo crea separazione, distanzia, ma distrugge ogni senso di unità, comunicazione, condivisione – la radice MU – si collega ai significati di legare e chiudere (imparentandosi anche con termini quale “muto”).
Se comincio a pensare a qualcosa “Cosa potrebbe essere più forte di un muro?” non posso che riandare a secoli di testimonianze storiche e letterarie che hanno intrattenuto veri corpo-a-corpo col muro (dagli antichi fino a Jean-Paul Sartre, e via via in mezzo Dostojevski)… ed arrivando alla presenza/non-presenza del muro che si erge e frappone in svariate e strazianti testimonianze carcerarie – là proprio dove l’istituzione stessa della prigione, invece di acquisire le sue ideali valenze e potenzialità rieducative, il più delle volte enuclea implacabilmente la realtà di una punizione senza fondo – di una disperazione senza vie d’uscita – lo sprofondarsi nell’ossessiva (e apparentemente senza fine) caduta dell’eternamente uguale a sé stesso…
Proprio nell’impressionante quantità (e qualità semantica) che i sinonimi di muro richiamano – ostacolo, impedimento, scudo, freno, divisione, blocco, chiusura, ostruzione, chiusa, diga, argine, trincea, schermo, contrasto, disturbo, imbarazzo, nodo, problema, frontiera, prigione, limite, pregiudizio (e chissà quanti altri possibili ancora..) – rivediamo un orizzonte di scenari di confronto e di lotta che si ritrovano in tante quanto differenziate realtà politiche e sociali tutt’ora ben presenti nel nostro mondo contemporaneo.
Più rare (seppur presenti) le accezioni positive – che sostanzialmente si condensano nell’idea di un rifugio, o un riparo da offrirsi a chi ne necessiti. La (spesso) spaventosa valenza che il muro porta con sé è non solo sinonimo di segregazione e sopraffazione, ma anche di sospensione di contatto con il mondo esterno (con tutte le inevitabili conseguenze sul piano psicologico e mentale). Sarebbe stato un po’ complicato (e inutile, forse) volere iniziare a sintetizzare una possibile storia delle rappresentazioni – almeno filmiche, cinematografiche – del muro…(da Jean Genet a Simone Bitton), davvero così tanti sono certo stati i contributi nel corso di una complessa e articolata storia com’è quella del cinema d’autore (e anche del cinema engagé…), ma almeno due esempi – meno noti, forse – provenienti da cinematografie non molto distanti dal nostro paese meritano di essere messi sul piatto ed offerti come momenti di spunto e di intenso coinvolgimento emotivo (seppure sempre sorretti da sceneggiature ed interpretazioni di alto livello..); ecco così com’è nata l’idea di proporre a Pietro Gaglianò (ed al suo ottimo progetto in fieri) un paio di suggestioni da includere nel grande archivio-in-progress di The Wall: DUVAR (il muro) di Yilmaz Güney e To take a Wife (Prendere moglie) di Shlomi e Ronit Elkabetz, due film che, per ragioni diverse e in momenti differenti della mia vita, mi hanno accompagnato e lasciato impressioni straordinarie – qualcosa che vorrei poter trasmettere a tutti i potenziali spettatori e fruitori del progetto.